Il vecchio si chiamava Beppo Spazzino. Aveva di sicuro un altro cognome ma, dato che di mestiere era spazzino e che tutti lo chiamavano così, anche lui aveva deciso che quel cognome gli stava bene.
Beppo Spazzino abitava in una capanna che si era costruito non lontano dall’anfiteatro, rimediando mattoni, pezzi di lamiera e cartone catramato. Era di statura inusitatamente piccola e per giunta un briciolino curvo, per cui superava Momo di ben poco. Portava sempre un po’ inclinata sulla spalla la grossa testa sormontata da un ciuffo di capelli ispidi e – poggiati sul naso – un paio di occhialetti con montatura di metallo.
Molta gente era del parere che a Beppo Spazzino mancasse più di un venerdì, perché, se interrogato, lui si limitava a sorridere amabilmente senza dare una risposta. Lui pensava. E se reputava che una risposta non fosse necessaria, taceva. Se invece la credeva necessaria, ci rifletteva sopra. Talvolta passavano due ore e talvolta anche un giorno intero prima che si decidesse a rispondere. Nel frattempo l’altro, logicamente, aveva dimenticato la domanda fatta e le parole di Beppo gli parevano bizzarre; ancor più bizzarre di quel che erano di solito perché Beppo usava parlare a frasi staccate e in modo stravagante.
Soltanto Momo era capace di attendere a lungo e di capirlo. Sapeva che lui si prendeva tanto tempo per non dire mai qualche cosa di insincero. Perché, nella sua opinione, tutta l’infelicità del mondo nasceva dalle troppe menzogne, quelle intenzionali ma anche quelle involontarie, tristi frutti della fretta e dell’indecisione.
Ogni mattina, assai prima che venisse giorno, andava in città, sulla sua vecchia bicicletta cigolante, fino a un grande edificio nel cui cortile attendeva, con i suoi compagni, che gli dessero una ramazza e un carretto e gli assegnassero una strada da spazzare.
A Beppo piaceva quell’ora prima dell’alba, quando la città dormiva ancora. E faceva il suo dovere volentieri e a fondo. Sapeva che era un lavoro assai necessario. Quando spazzava le strade andava piano ma con ritmo costante: ad ogni passo un respiro e ad ogni respiro un colpo di granata. Passo-respiro-colpo di scopa. Passo-respiro-colpo di scopa. Di tanto in tanto si fermava un momento e guardava, pensieroso, davanti a sé. E poi riprendeva. Passo-respiro-colpo di scopa.
Mentre si muoveva, con la strada sporca davanti e quella pulita dietro, gli venivano spesso in testa grandi pensieri. Pensieri senza parole, pensieri difficili da comunicare, come un determinato profumo del quale si ha un vago ricordo o come un colore visto in un sogno. Dopo il lavoro, quando si sedeva vicino a Momo, le spiegava i suoi grandi pensieri. E poiché lei ascoltava in quel suo modo speciale, gli si scioglieva la lingua e trovava le parole adatte.
“Vedi Momo”, le diceva, per esempio, “è così: certe volte hai davanti una strada lunghissima. Si crede che è troppo lunga: che mai potrà finire, uno pensa.”
Guardò un po’ in silenzio davanti a sé e poi proseguì: “E allora si comincia a fare in fretta. E sempre più in fretta. E ogni volta che alzi gli occhi vedi che la fatica non è diventata di meno. E ti sforzi ancora di più e ti viene la paura e alla fine resti senza fiato…e non ce la fai più…e la strada sta sempre là davanti. Non è così che si deve fare.”
Pensò ancora un poco, poi seguitò: “Non si deve mai pensare alla strada tutta in una volta, tutta intera, capisci? Si deve soltanto pensare al prossimo passo, al prossimo respiro, al prossimo colpo di scopa. Sempre soltanto al gesto che viene dopo”.
Di nuovo s’interruppe per riflettere, prima di aggiungere: “Allora c’è soddisfazione; questo è importante, perché allora si fa bene il lavoro. Così deve essere”.
E poi, dopo una nuova lunga pausa, proseguì: “E di colpo uno si accorge che, passo dopo passo, ha fatto tutta la strada. Non si sa come…e non si è senza respiro”. Assentì, approvandosi, e disse a mo’ di chiusura: “Questo è importante”.
avevo detto che lo facevo.
e in tempi di magra, direttamente proporzionali al grado di confusione-agitazione-vita fuori di qui, piuttosto che lasciar vuoto, riempio con parole sagge.
magari mi servisse.
magari servisse a chi come me,
vive perennemente col pepe in culo,
e quella paura insensata ma costante di perdere il treno,
di rimanere a piedi.
che allora
per paura
di perderlo
viviamo
male
tutto.
è vigliaccheria, nient'altro.proprio nient'altro.
ma sono brava ormai a nasconderla.
Il personaggio è interessante, quasi encomiabile.
io no.
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venerdì 5 marzo 2010
sabato 12 dicembre 2009
Sonnellini
mercoledì 18 novembre 2009
più scenate patetiche, più, più!!!

"Che cosa è venuto prima: la musica o la sofferenza?
Ascoltavo la musica perché soffrivo? O soffrivo perché ascoltavo la musica? Sono tutti quei dischi che ci fanno diventare malinconici?
La gente si preoccupa perché i ragazzini giocano con le armi, perché gli adolescenti guardano film violenti; c'è la paura che possano sviluppare la cultura della violenza. Nessuno si preoccupa dei ragazzini che ascoltano migliaia di canzoni - migliaia, letteralmente - che parlano di cuori spezzati, e abbandoni e dolore e sofferenza e perdita. Le persone più infelici che conosco, dico in senso amoroso, sono anche quelle pazze per la musica pop; e non sono sicuro che la musica pop sia stata la causa della loro infelicità, ma so per certo che sono persone che hanno ascoltato canzoni tristi più a lungo di quanto non siano durate le loro tristi storie"
Alta fedeltà, Nick Hornby.
aprirò una nuova "label" dal titolo "quelle righe che leggi due volte"
Frena, fermi tutti, niente assolutismo, molto molto semplicemente, mi ha fatto pensare, cazzo io l'ho sempre creduto..l'enorme influenza della musica per chi se ne alimenta, soprattutto in determinati periodi della vita, come dire..più..impressionabili..come la carta da foto.
E' un'idea interessante, secondo me c'è del vero.e assieme alla musica metto i film, i viaggi mentali, i libri..sempre a impersonificarsi in emozioni che riportano a malincolnia, tristezza..
boh vabè sto sforando, non avevo pretese di illuminazione..semplicemente leggo il libro, trovo un paragrafo interessante, lo posto.
Ma cioccan,c'ha ragione, facciamocela na cazzo di risata.ecchecchezzo.
semplicemente piacevolmente sorpresa di non essere stata l'unica ad aver fatto sta pensata, come dimostro col quotaggio sopra, l'ha fatta anche nick hornby, noto scrittore di romanzi, inglese. ti stimo fratello.mi piace la tua ironia, cioè..cruda..nuda.
"pensa bello" , il caro nick.
buonanotte.
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